COS’È LA PREGHIERA

Il Salmo 24 comincia con la definizione stessa della preghiera («A Te, Signore, elevo l’anima mia»): Un’elevazione dell’anima a Dio. Gesù era tutto preghiera, un’adorazione incessante al Padre. Il gesto di pregare di Gesù era quello di alzare gli occhi al cielo (cfr. Gv 6; 11; 17).
Che cos’è la preghiera?
Fu definita «un colloquio del Figlio di Dio Gesù, che vive in noi, con il Padre che è nei cieli sotto l’azione dello Spirito Santo».
La preghiera è un’orientamento profondo dell’anima verso Dio. Succede pressappoco come per una mamma che ha un bimbo ammalato. Lo visita frequentemente, gli misura la febbre, lo cura; ma anche quando scende in cucina a rigovernare la casa il suo pensiero non si stacca dal bambino, è orientato verso di lui.
La preghiera è un dialogo con Dio, che è Padre. Il dialogo vale soltanto se si è se stessi, senza sofisticherie, con i propri dubbi, con le proprie debolezze, con le proprie oscurità, ma anche con le proprie speranze e con le proprie gioie. A questo riguardo, il Vangelo di San Giovanni è una guida perché i dialoghi vi abbondano.
La preghiera è un dialogo di fede e di amore come nell’ultimo colloquio tra Gesù e Pietro dopo la resurrezione. Gesù chiede per tre volte a Pietro: «Mi ami tu più di costoro?…Mi ami tu?… Mi ami tu?…» (Gv 21,15-17). E per tre volte Pietro attesta il suo amore: «Signore, tu sai tutto, tu lo sai che io ti amo…».
Nella sua semplicità e verità divina, questo colloquio tra Gesù e Pietro è il più bel modello di preghiera per il cristiano.
Dio è dentro di noi. È lì che ci dà appuntamento e ci attende durante la giornata, oltre che nella chiesa. Dio dentro di noi non è un Dio silenzioso: egli parla. Ma per ascoltarlo bisogna far silenzio. La preghiera è l’inabitazione di Dio nell’anima.

San Giovanni della croce nota:
«Il Padre dice la Parola. È il suo Verbo, il suo Figlio. La dice in un eterno silenzio; ed è in silenzio che l’anima ascolta».
Il Signore nel profeta Osea ha quest’espressione: «Condurrò l’anima nel deserto e lì parlerò al suo cuore».

Siamo inabitati da Dio. Occorre sentire Dio profondamente nell’anima.
Le mamme Indù, nell’India, raccontano ai loro figli una fiaba caratteristica: la fiaba del capretto muschiato.
La mamma racconta: «C’era una volta un capretto muschiato (sono quei capretti che hanno una specie di sacca di pelle in cui c’è la ghiandola del muschio, una ghiandola che secerne profumo). Quel capretto sentì un mattino un filo di profumo che lo adescò. Incuranti delle esortazioni della mamma, si mise a seguire quella traccia di profumo, di giungla in giungla. Rinunciò a tutto: a mangiare, a bere, sempre ossessionato da quel filo di profumo. Finché una sera cadde in un burrone. Precipitando si sfracellò. L’ultimo suo atto prima di morire fu quello di avere pietà di se stesso e di leccarsi il petto. Mentre se lo leccava, la tasca dov’era la ghiandola del muschio si spezzò interamente e diffuse il profumo. Allora il capretto cercò di aspirarne il profumo. Ormai moriva. Troppo tardi!».
La mamma Indù commenta:
«Mio piccolo bimbo, non cercare al di fuori di te il profumo di Dio, se no perisci nella giungla della vita. Cercalo nella tua anima. Lì, nella tua anima, troverai Dio»
.
La preghiera è quest’incontro personale dell’anima con Dio. È il sentirsi inabitati dalle Tre Persone Divine. È un dialogo con Dio.
La preghiera ci aiuta a superare quel tremendo momento che è l’agonia, il conflitto estremo tra l’anima e il corpo.
La preghiera consiste appunto nel pensare a Dio, nel parlargli dolcemente, nel presentargli, perché le benedica, tutte le persone che noi incontreremo durante il giorno.
Pregare vuol dire lasciarsi fare da Dio, ma vuol dire anche imparare a fare l’opera di Dio.

Noi troviamo che la preghiera è un’azione, e che l’azione è una preghiera; l’azione animata dall’amore è piena di luce.
«I grandi fatti – scriveva Nietzsche – non sono già le nostre ore più rumorose, bensì le più silenziose. Il mondo non ruota intorno a coloro che inventano nuovi slogan, ma attorno a coloro che inventano nuovi valori: attorno a questi ruota silenziosamente. Sono le parole più tacite quelle che portano la bufera. I pensieri che giungono su piedi di colomba, sono quelli che governano il mondo».
La preghiera non può mai essere un’evasione; essa è la sorgente indispensabile della nostra azione.
«L’azione senza la preghiera manca del principio di base; la preghiera senza l’azione manca del terreno da seminare». (Gräf)
Pregare è donarsi a Dio. Le persone non si donano allo stesso modo di un oggetto. Se tu regali un orologio o una penna stilografica ad un amico, hai ragione di affermare che ormai è cosa fatta, su cui non vale la pena ritornarci su. Ma un essere vivo viene dato nella misura in cui non cessa di donarsi, di restare a disposizione del donatario, di perseverare nell’atteggiamento di dono. Dal momento in cui si discosta da questa fondamentale disposizione l’uomo non è più un dono: ciò vale sia per l’amore umano sia per l’amore divino.
Quando la preghiera non è più effetto del desiderio e dell’amore, si comprende che essa diventi noiosa. Quando le ali non portano più l’uccello, esse pesano. L’uomo di oggi non vuole soltanto capire, vuole vedere. Che cosa gli possiamo mostrare?
Essere povero di spirito, afflitto, dolce, umile davanti a Dio, significa pregare. Vi sono altre vie per giungere a Dio?
Santa Teresina diceva: «Per me la preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, un grido di gratitudine e d’amore nella prova come nella gioia».

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