Messalino di Domenica 9 Febbraio

Messalino di Domenica 9 Febbraio

 

Dal libro del profeta Isaìa (58,7-10)

Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».

* Il vero digiuno che piace a Dio comporta l’amore del prossimo e la ricerca della giustizia. È inseparabile quindi dalla preghiera e dall’elemosina ai fratelli. Perciò l’amore a Dio consiste anche «nel dividere il pane con l’affamato, nell’ospitare in casa i miseri senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, nel non schivare gli altri che sono uomini come te».

 

Salmo Responsoriale (dal Sal 111)
Il giusto risplende come luce.

Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.

Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.

Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (2,1-5)

Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

* «Debolezza, molto timore e trepidazione»: la missione nella turbinosa, corrotta Corinto era superiore alle forze fisiche e morali di Paolo. Solo dall’alto poteva venire l’aiuto, tanto che Cristo gli era apparso per rincuorarlo (At 18,9-10).

 

Canto al Vangelo (cfr Gv 8,12)
Alleluia, alleluia. Io sono la luce del mondo, dice il Signore, chi segue me avrà la luce della vita. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

* I discepoli portano la stessa luce della verità che viene da Gesù: essi infatti gli appartengono così intimamente e sono talmente pieni di lui (Luce) da diventare a loro volta luce.

 

Spunti di Riflessione

Inflazione di parole
La predicazione di S. Paolo ha portato frutti meravigliosi, perché non cercò mescolanze di orpelli retorici e di ragionamenti filosofici («con eccellenza di discorso o di sapienza»), né si appoggiò all’autorità di qualche scuola o di qualche sapiente. A Corinto, in Grecia, ci sono dei cristiani convintissimi che l’evangelizzazione è anzitutto questione di belle parole scientifiche e poetiche: occorrono «parole sublimi». Paolo avverte in queste affermazioni un tranello: il razionalismo. Gli rimproverano che lui nell’evangelizzazione insiste troppo sulla croce di Cristo. La croce, gli dicono, non attira: per i Greci è un’aberrazione e per i Giudei è uno scandalo, un disonore, un obbrobrio. Paolo ribatte: non mi è possibile calare il mistero della croce negli schemi e nelle categorie filosofiche.
I discorsi persuasivi di sapienza umana volatilizzano il mistero di Gesù Cristo crocifisso. C’è un linguaggio di fede che urta e strazia ogni intelligenza umana chiusa in se stessa, ogni cervello razionalizzato, ma libera e salva ogni uomo aperto alle iniziative, anzi alle «pazzie di Dio». «Ciò che è stoltezza e pazzia di Dio è più sapiente degli uomini» (1,25).
Soltanto una luce sfiora la sottile punta dell’anima per aiutarla a cogliere e ad abbracciare tutte le dimensioni dei valori divini: è la sapienza dello Spirito Santo che anima i nostri pensieri e le nostre parole con una nuova linfa. Solo così noi diventiamo veri «spirituali», diventiamo quegli umili nei quali Dio si compiace (cfr Mt 11,25-27).

La forza e la luce dell’umanità
«Voi siete il sale della terra». Praticando le beatitudini, i discepoli diventano il sale della terra; cioè la loro vita acquista un senso, un sapore, un significato contagioso e missionario. Il sale dà gusto ai cibi e li conserva (Gb 6,6; Bar 6,27); ma il sale serve anche ad ardere e ad attizzare il fuoco che si spegne. Il sale è la fede dei cristiani. A che serve la fede? Gesù risponde: «Serve a dar sapore, a dare senso alla vita e a stuzzicare l’appetito per le cose di Dio». «Se il sale perdesse il sapore...». La vocazione può quindi perdere il suo primo vigore, la forza di una vita orientata a Dio può venir meno. Allora non è soltanto la vita del discepolo in se stessa che si affloscia e intristisce: con essa viene a mancare anche l’irradiazione vitale sugli altri. I discepoli sono l’unico sale a cui «la terra» possa ricorrere, il sale insostituibile.
Seconda regola di vita: «Voi siete la luce del mondo». Il cristiano è discepolo di Colui che fu presentato al mondo come «luce delle nazioni» (cfr Is 42,6; Lc 2,32) e che si è autodefinito: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). I discepoli portano la stessa luce della verità che viene da Gesù: essi infatti gli appartengono così intimamente e sono talmente pieni di lui — Luce —  da diventare a loro volta luce.
Essi sono luce e sono lucerna (v. 15); ma non lo sono per loro personale soddisfazione («sotto il moggio»); lo sono per il bene degli uomini, per illuminarli, per fare luce «a tutti quelli che sono nella casa», che in Oriente comporta di solito una sola e unica stanza. La motivazione è missionaria: con le loro opere buone (opere di luce) i discepoli devono trascinare e influire sugli altri. Devono cioè con la loro condotta di vita dare testimonianza a Cristo, diventare una trasparenza di Gesù.

 

La Parola per me, Oggi

La luce che scaturisce da noi non va riflessa su noi stessi. Le opere vanno compiute non perché noi veniamo lodati, ma solo perché Dio sia lodato. È il «Padre nei cieli» che deve esser riconosciuto. La luce dei discepoli deve portare lo sguardo e il cuore degli uomini oltre i discepoli stessi. Alla fonte stessa della luce, al «Padre di tutti i lumi» (cfr Gc 1,17). Questo è l’ultimo scopo e il motivo più profondo della vocazione dei discepoli: rivelare Dio.

 

La Parola si fa Preghiera

O Dio, che nella follia della croce manifesti quanto è distante la tua sapienza dalla logica del mondo, donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra.

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