
Messalino di Giovedì 7 Novembre
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,7-12)
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, perché sta scritto:
«Io vivo, dice il Signore:
ogni ginocchio si piegherà davanti a me
e ogni lingua renderà gloria a Dio».
Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.
* La nostra vita e la nostra morte sono incentrate in Cristo; ma Cristo è morto e risorto per noi, perciò è il Signore dei vivi e dei morti. Noi apparteniamo a lui, quindi solo a lui dobbiamo rendere conto; ogni giudizio vicendevole è così superato.
Salmo Responsoriale (dal Sal 26)
Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
Canto al Vangelo (Mt 11,28)
Alleluia, alleluia. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro, dice il Signore. Alleluia.
Dal Vangelo secondo Luca (15,1-10)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
* Il buon pastore batte tutti i sentieri per ritrovare la pecorella smarrita. Dio va alla caccia e alla ricerca del peccatore, finché lo ritrova.
Spunti di Riflessione
C’è gioia in cielo per un peccatore convertito
Ma perché «più gioia» che per le novantanove pecore che non hanno creato problemi? Non siamo tutti figli di Dio allo stesso modo? Perché allora una pecora vale novantanove altre pecore e, soprattutto, perché a valere di più è proprio quella che era scappata e valeva di meno? Non è un po’ forte tutto questo, anzi addirittura scandaloso?
La risposta più bella e più convincente a questo interrogativo l’ha data il poeta-teologo Charles Péguy. Smarrendosi – dice –, la pecorella, come pure il figlio minore, ha fatto tremare il cuore stesso di Dio; Dio ha temuto di perderla per sempre, di essere costretto a condannarla e a privarsene in eterno; ha tremato per questo (si è verificato il rischio a cui Dio si era esposto il giorno che creò l’uomo libero e, per giunta, si affezionò perdutamente a questa sua creatura). Questa paura ha fatto sbocciare la speranza nel cuore di Dio e la speranza, compiuta, ha provocato la gioia e la festa: «Il fatto è che una penitenza dell’uomo è un coronamento di una speranza di Dio. L’attesa di questa penitenza ha fatto scattare la speranza nel cuore di Dio, ha fatto sorgere un sentimento nuovo, ha fatto sgorgare un sentimento come sconosciuto nel cuore stesso di Dio, di un Dio eternamente nuovo...» (Péguy, Il mistero dei portico della seconda virtù).
Anche per Dio si verifica, in un modo per noi misterioso, il detto di S. Caterina da Siena: «Non si vive in amore senza dolore» (e, aggiungiamo noi, senza speranza).
Amandoci, Dio si è messo nella condizione di dover sperare qualcosa da noi, perfino dal più grande peccatore. Questa è una novità sconvolgente; è un rovescio di tutte le cose; chi la poteva immaginare? Noi possiamo coronare (o mandare a vuoto) un’attesa di Dio!
La Parola per me, Oggi
In una maniera per noi incomprensibile, rappresentiamo per Dio un’immensa ricchezza. Si fa festa in Cielo, quando chi era perduto viene ritrovato. E io, sento che ogni uomo è per me un dono, che è insostituibile?
La Parola si fa Preghiera
Dio, Padre eterno, non lasciare che io cerchi di presentarmi ai tuoi occhi migliore di quel che sono; un tale atteggiamento non avrebbe alcun senso di fronte a te, perché «nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno» (Sal 139). Accoglimi nelle tue braccia. Di fronte a te io riconosco la mia debolezza e i miei errori. Accoglimi nelle tue braccia come un padre che perdona. Convertimi. Fa’ che, prendendo coscienza della mia ostinazione peccaminosa, mi attacchi tanto più saldamente a te.
◊ L’ORA DELLA MORTE
La morte è il più potente, il più indiscutibile dei predicatori. Ci dice: la vita terrena non ha altro valore che di preparazione.


