Messalino di Venerdì 3 Febbraio

Messalino di Venerdì 3 Febbraio

Dalla lettera agli Ebrei (13,1-8)

Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio.
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così possiamo dire con fiducia:
«Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura.
Che cosa può farmi l’uomo?».
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede.
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!

* «Perseverate nell’amore fraterno», perché questa è una delle caratteristiche essenziali del cristianesimo, secondo la volontà del Signore (cf Gv 13,34-35). Anche «l’ospitalità» fa parte del precetto della carità, come l’amore dei nemici, che qui non è espressamente menzionato. I cristiani devono soprattutto assistere i «prigionieri»; tutti i cristiani formano un corpo; se alcune membra soffrono, con loro soffrono le altre membra.

 

Salmo Responsoriale (dal Sal 26)
Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia.

Nella sua dimora mi offre riparo
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua tenda,
sopra una roccia m’innalza.

Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi.

 

Canto al Vangelo (Lc 8,15)
Alleluia, alleluia. Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco (6,14-29)

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

* Marco presenta l’uccisione di Giovanni non tanto come il martirio di un eroe, quanto come rifiuto del disegno di Dio: segno perciò premonitore dell’opposizione del mondo a Gesù e ai suoi discepoli.

 

Spunti di Riflessione

«Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!»
Il sovrano del territorio in cui operava Gesù, Erode Antipa, sente parlare del movimento che Gesù ha fatto sorgere, e vi presta attenzione. Quando ne riceve notizia, egli non sa capacitarsene; in questo passo, l’evangelista intende alludere alla crescente minaccia che incombeva su Gesù. Come è seguito con sospetto e subdolamente attaccato dai suoi avversari Giudei (cf 3,22), così egli è minacciato anche dal potere politico. Nel tempo stesso che la predicazione si diffonde in ampiezza e guadagna in forza, le potenze avversarie si agitano.
La figlia di Erodiade (secondo Giuseppe Flavio si chiama Salome) eccita con la sua danza il piacere degli ospiti e del sovrano. Erode vuol darsi l’aria di un re — e ciò gli era abituale — promettendole un dono. «Fosse anche la metà del mio regno» è un’espressione di millanteria che ricorda le parole che il grande re di Persia rivolse, anche in questo caso in un banchetto, alla regina Ester (cfr. Est 7,2). Erode rincalza la promessa con un giuramento, che poco dopo lo metterà nell’imbarazzo. Di fronte a una richiesta così raccapricciante, il giuramento non era certo tale da costituire un obbligo morale; il re vuole «salvare la faccia» e non mancar di parola davanti ai propri ospiti.

Una Parola scomoda
L’uccisione del Battista è la consumazione del peccato. Ultimo dei profeti, egli denuncia l’adulterio del popolo, impersonato dal suo re, che non ama il Signore, suo sposo. Chi, invece di convertirsi alla parola del Signore, preferisce farne tacere la voce, si toglie la possibilità stessa di conversione. Chi non pratica la giustizia e non è disposto a cambiare vita, non può cercare il Signore e pretendere di trovarlo. Gli rimane una fame e sete inappagate. È il terribile silenzio di Dio (cf Am 8,11s); e Dio tace solo perché non vuole e non può condannare. Ma il suo silenzio è l’annuncio più forte del nostro peccato e della sua misericordia.

 

La Parola per me, Oggi

La morte di Giovanni Battista c’interroga: quante volte anche noi “seppelliamo” le verità che scottano, mettiamo a tacere la voce della coscienza e coloro che ce ne ricordano gli appelli. Il compromesso è troppo spesso la strada più facile da seguire. Chiediamoci oggi con serietà che cosa esige da noi la fedeltà alla verità, che è costata la vita a Giovanni Battista.

 

 

La Parola si fa Preghiera

Quando tu mi parli, Signore, donami di ascoltare.
La tua Parola non è dura, ma troppo spesso il mio cuore sì.
Dammi la forza di ascoltarti anche quando la tua Parola scotta, e, come un testimone scomodo della verità, capovolge i miei pensieri e la mia vita.

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