Messalino di Venerdì 4 Novembre

Messalino di Venerdì 4 Novembre

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (3,17 - 4,1)

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi.
Perché molti — ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto — si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

* L’apostolo non teme di legare la scelta della buona via alla sua imitazione. Questo appello poggia sulla sua convinzione di essere il padre che ha generato i cristiani alla fede, non solamente con la dottrina, ma più ancora con l’esempio (cfr 1 Ts 1,7; 2 Ts 3,9; 1 Tm 4,12; Tt 2,7). L’iniziazione alla fede si compie attraverso una duplice via: quella della parola e quella della vita.

 

Salmo Responsoriale (dal Sal 121)
Andremo con gioia alla casa del Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore.

Secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

 

Canto al Vangelo(1Gv 2,5)
Alleluia, alleluia. Chi osserva la parola di Gesù Cristo in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Luca(16,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

* La lode non è rivolta all’abile astuzia e alla spudoratezza del falsario, ma all’ardita decisione con cui il presente viene utilizzato in vista del futuro.

 

Spunti di Riflessione

So io che cosa fare
La parabola si rivolge a coloro che, malgrado la sicura «catastrofe» del giudizio universale, rimangono indecisi e non intraprendono nulla, con l’illusione che tutto si risolverà per il meglio o per lo meno non andrà tanto male. Gesù intende sottolineare la necessità di convertirsi mettendo davanti l’urgenza e l’immediatezza del Regno: «Rendi conto della tua amministrazione». L’intendente astuto ha saputo sfruttare il brevissimo ritaglio di tempo di cui disponeva per prendere la decisione da cui dipendeva il suo futuro. Ai figli della luce occorre la stessa ingegnosità e presenza di spirito.
Padre Giuseppe Cavagna, missionario in Bangladesh, ha confidato: «Sono cinquantadue anni che sono qui. Mi sembra ieri. Oh! Se potessi ridiventare giovane e ricominciare da capo! Tutta la mia vita missionaria l’ho passata tra i più poveri e di ciò sono tanto contento e lo considero un privilegio del Signore». Albert Schweitzer, a trent’anni, al vertice di una carriera brillantissima, lascia tutto e va in Africa per consacrarsi ai più abbandonati. Egli ha detto: «Se tu hai qualcosa e non la trasformi in dono, presto ti deluderà». E a Oslo nel 1952 quando gli consegnarono il Nobel per la pace, esclamò: «Il benessere non ha creato il super-uomo, ma il pover’uomo». Madre Teresa è arrivata a dire: «La persona più importante del mondo è il povero. Il povero è un dono di Dio per la gioia della nostra vita».

 

La Parola per me, Oggi

L’uso accorto delle ricchezze non sta nell’accrescerle più che si può; sta nel dare piuttosto che nel ricevere, nell’aiutare piuttosto che nel farsi aiutare.

 

 

La Parola si fa Preghiera

Signore, ora so che cosa fare: devo convertirmi da stolto possidente in amministratore sapiente dei tuoi beni presenti, per viverli come dono del Padre da condividere con i fratelli nel bisogno.

 

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