Con Maria contempliamo la Passione di Gesù sulla Sindone /6

Con Maria contempliamo la Passione di Gesù sulla Sindone /6

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Segue una piccola invocazione allo Spirito Santo (pregata o cantata):
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce
Vieni, Padre dei poveri
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Canto: E anche a te una spada

GESÙ, AVVOLTO NELLA SINDONE È DEPOSTO NEL SEPOLCRO

Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. (Gv 19, 40-42)

* Gesù quasi certamente è morto per emopericardio, dovuto a rottura di cuore. Ciò spiega il forte grido (forse l’invocazione acutissima: Immà, Mamma) prima di morire e, dopo uno o due minuti, il decesso. Clinicamente si ha poi, al colpo di lancia, l’uscita distinta del sangue e dell’acqua, di cui parla San Giovanni. L’agonia dell’orto degli Ulivi fu l’inizio del fatto stressante; la rottura della zona del cuore, colpita dalla necrosi, fu la conclusione finale o il fatto infartuale.

* Era il tramonto quando Giuseppe di Arimatea si presentò a Pilato per chiedere il corpo di Gesù. La legge romana, a differenza di quella ebraica, consentiva ai parenti e agli amici dei condannati a morte di seppellire con onore il cadavere.
La Sindone, con il linguaggio del sangue, rivela due grossi particolari dell’andata al sepolcro: nella zona dei reni il corpo di Gesù è segnato da rivoli di sangue in direzione trasversale; è un segno chiaro che un lenzuolo o un mantello venne passato sotto il cadavere e tirato ai lati per sostenere il peso. Il secondo particolare è al piede sinistro di Gesù: si tratta di impronte digitali di uno dei barellieri funebri del corpo di Gesù.

* Per seppellire Gesù era a disposizione poco tempo: dal tramonto del sole al brillare delle prime tre stelle; a Gerusalemme in quel giorno (14 del mese di Nisan, anno 785 di Roma) il sole tramontò alle 18.08; la comparsa della terza stella, che determinava il riposo assoluto festivo, avvenne alle 19.08. una mezz’ora almeno fu impiegata per andare da Pilato e tornare al calvario, dopo l’acquisto della Sindone in un negozio di Gerusalemme. Tolsero il chiodo dai piedi di Gesù, smontarono il patibolo (o palo trasversale della croce), calarono il corpo di Gesù, tolsero i due chiodi alle mani, trasportarono il cadavere al vicino sepolcro; lo adagiarono sulla Sindone, imbevuta di oli resinosi; poi lo avvolsero provvisoriamente con fasce tra gli aromi; e la grande pietra fu rotolata all’imboccatura del sepolcro. Luca dice che in quel momento brillarono le tre stelle, insieme alle lampade della luminaria nelle case di Gerusalemme. Bisognava affrettarsi a rincasare.

* La Madonna aveva versato tutte le sue lacrime e non aveva potuto dare una completa sepoltura a Gesù. La legge consentiva, nel caso di morte al venerdì sera, di rimandare le cerimonie della sepoltura a dopo la festa del sabato. Ecco perché le donne, passato il sabato, comperarono gli aromi (dopo le ore 18) e all’alba della domenica si mossero per ungere il corpo di Gesù: lo avrebbero prima lavato con 7 lavature, gli avrebbero tagliato i capelli e la barba; poi, untolo, avrebbero avvolto la Sindone sul corpo rivestito di nuova veste. Gesù, non lavato, con i capelli ben ravvicinati dalle mani carezzevoli di Maria, risorse prima della fase finale della sepoltura.

Prega il “Padre nostro”, 10 Ave Maria. Termina con la piccola lode alla Santissima Trinità: Gloria al Padre

MEDITAZIONE DI Papa BENEDETTO XVI (2 Maggio 2010)
«Nel Sacro Telo la luce della vita»

Cari amici, questo è per me un momento molto atteso. In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.

Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di san Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.

Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.

Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.

E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.

In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.

Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati – “Passio Christi. Passio hominis” -, da questo volto promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.

Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.

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