LA PARABOLA DEL PADRE CHE AMA / 3

LA PARABOLA DEL PADRE CHE AMA / 3

Il profeta Isaia aveva predetto, del Servo del Signore, che avrebbe preso su di sé  tutte le malattie e infermità; e sarebbe stato pronto a portare in nostra vece i nostri dolori. Gesù accoglie come sue le malattie degli altri, le nostre infermità; le toglie agli altri, per caricarsene lui. Così esse vengono «tolte via». In lui non c’è soltanto pazienza e perdono, bensì una forza che trasforma e salva. Egli attira su sé, come i peccati di tutti, anche le sofferenze di tutti, e con la sua obbedienza le trasforma in benedizione. È un preannuncio ormai del mistero della sua morte e della nostra salvezza.

dal Vangelo di San Luca (15,11-32)

Gesù!

Per amare, unicamente per amare, sei entrato nella paglia umana, ti sei scorticato nella polvere umana, hai mangiato alla tavola degli uomini! Tu hai poggiato la tua mano sulle carni putride, hai strappato i peccatori alle pietre della lapidazione, hai pianto di tristezza davanti alla tomba dell’amico e hai lavato gli spiriti e i cuori dai loro demoni incrostati.
Per salvare, unicamente per salvare, hai spezzato la tua vita in pane per ogni giorno e l’hai versata in vino di giubilo per il futuro. Tu sei stato frantumato sotto i chiodi dell’odio, hai attraverso la tomba dove, per sparire per sempre, sono deposti gli spiriti e la carne. E, oggi, tu non perdonerai i nostri peccati? E tu non sarai, oggi, il nostro sole di speranza? E tu non ci porterai, oggi, attraverso la paura e la morte, fino alla tua dimora di gioia?

Il dipinto “Il figlio prodigo” di Rembrandt.
Racconta il sacerdote Henri Nouwen ( 3a parte)

Osservando il padre, nel dipinto di Rembrandt, rie­sco a individuare tre vie che portano a una vera pater­nità di misericordia: il dolore, il perdono e la generosità.
Può sembrare strano considerare il dolore come una via alla misericordia. Ma lo è. Il dolore mi chiede di consentire che i peccati del mondo – i miei compresi strazino il mio cuore e mi facciano versare lacrime, molte lacrime, per essi. Non c’è compassione senza la­crime. Se non possono essere lacrime che scorrono da­gli occhi, devono essere almeno lacrime che sgorgano dal cuore.
Questa afflizione è preghiera. Persone che si afflig­gono sono ormai ben poche in questo mondo. Ma il dolore è la disciplina del cuore che vede il peccato del mondo, e sa di essere il prezzo doloroso della libertà senza la quale l’amore non può fiorire. Incomincio a capire che una grande parte della preghiera è dolore.
Questo dolore è così profondo non tanto perché il pec­cato è grande, ma anche – e soprattutto – perché l’amore divino è sconfinato. Per diventare come il Pa­dre la cui unica autorità è la misericordia, devo versa­re lacrime infinite e preparare così il mio cuore a rice­vere chiunque, qualunque itinerario abbia percorso, e perdonarlo con quel cuore.
La seconda via che conduce alla paternità spirituale è il perdono. È attraverso il perdono costante che di­ventiamo come il Padre. Il perdono che viene dal cuo­re è molto difficile. E quasi impossibile. Gesù ha det­to ai suoi discepoli: «Se un tuo fratello … pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai».
Ho detto spesso: «Ti perdono», ma anche se ho pro­nunciato queste parole, il mio cuore è rimasto chiuso nella sua rabbia o nel suo risentimento. Volevo ancora sentirmi dire che avevo ragione, dopo tutto; volevo an­cora sentire delle giustificazioni e delle scuse; volevo ancora la soddisfazione di ricevere in cambio qualche elogio – se non altro per  essere stato così clemente!
Ma il perdono di Dio non pone condizioni; provie­ne da un cuore che non chiede niente per sé, un cuore completamente libero dall’egoismo. È questo perdono divino che devo praticare nella mia vita quotidiana. Mi chiede di superare tutte le mie argomentazioni che sostengono che il perdono è stupido, dannoso e impra­ticabile. Mi sfida a superare tutti i miei bisogni di gra­titudine e di complimenti. Infine, mi chiede di supera­re quella parte ferita del mio cuore che si sente offesa e maltrattata e che vuole “mantenere il controllo” e porre un po’ di condizioni tra me e colui che mi si chiede di perdonare.
Questo “superamento” è la disciplina autentica del perdono. Può darsi che sia più un “arrampicarsi” che un “superarsi”. Sovente devo arrampicarmi sul muro delle dispute e dei sentimenti di rabbia che ho eretto tra me e tutti quelli che amo, ma che tanto spesso non ricambiano tale amore. E un muro di paura di essere usato o ferito di nuovo. È un muro di orgoglio e del desiderio di “mantenere il controllo”. Ma ogni volta che riesco a superare quel muro o soltanto scalarlo, en­tro nella casa dove dimora il Padre, e qui incontro il mio prossimo con un genuino amore di misericordia.
La terza via per diventare come il Padre è la genero­sità. Nella parabola, il padre, al figlio che se ne va non solo dà tutto ciò che questi chiede, ma lo colma anche di regali al suo ritorno. E al figlio maggiore di­ce: «Tutto ciò che è mio è tuo». Il padre niente tie­ne per sé. Offre tutto se stesso ai figli.
Egli non offre soltanto di più di quanto ci si possa ragionevolmente aspettare da chi è stato offeso; no, si dà completamente, senza riserve. Entrambi i figli per lui sono “tutto”. In  essi vuole riversare la sua stessa vita.  Non è l’immagine di un padre straordinario. E il ritratto di Dio, la cui bontà, il cui amore e perdo­no, la cui sollecitudine, gioia e misericordia sono senza confini. Gesù presenta la generosità di Dio ricorrendo sì a tutto l’immaginario che la sua cultura gli fornisce, ma trasformandolo di continuo.
Per diventare come il Padre, devo essere generoso come è generoso il Padre. Proprio come il Padre dà tutto se stesso ai propri figli, così devo dare me stesso ai miei fratelli e sorelle. Gesù fa capire molto chiaramente che proprio questo darsi è il segno del vero di­scepolo. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Questo dare se stessi è una autentica disciplina per­ché è qualcosa che non scatta automaticamente. Come figli delle tenebre che governano con la paura, l’inte­resse personale, l’avidità e il potere, le nostre grandi motivazioni sono la sopravvivenza e l’istinto di con­servazione. Ma come figli della luce che sanno che l’a­more perfetto elimina ogni paura, diventa possibile dare agli altri tutto quello che abbiamo.

“Mi leverò e andrò da mio Padre”. Liberaci dall’orgoglio della vita che ci impedisce di rialzarci dal fango nel quale il peccato ci ha trascinati. Salvaci dall’accecamento suicida che non riconosce la misericordia nella ostinazione e nell’indurimento del cuore. O Cristo, tu hai aperto le porte del Paradiso; là non vi è più l’angelo che ne vietava l’ingresso e per mezzo della tua voce il Padre chiama di nuovo Adamo, che aveva cacciato. Ero piegato, abbattuto dalle mie turpi colpe, ero prostrato e rifiutavo la consolazione, ma ti ho sentito e mi alzerò e andrò da mio Padre.

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