L’ULTIMA CENA

L’ULTIMA CENA

di Don Carlo

Quando noi celebriamo l’Eucaristia, l’ultima Cena di Gesù, che egli celebrò come inizio della sua Passione, diventa presente in mezzo a noi e per noi.

Ma che cosa fece Gesù quando celebrò l’Ultima Cena, coi suoi apostoli?
Ecco: in quell’ora accettò la propria morte come un’offerta, come un abbandono totale di se stesso al Padre e come redenzione del mondo.
Si mise a mensa con i suoi amici; quelli che amava li chiamava amici; dopo la risurrezione li chiamerà fratelli.
Sedette a banchetto per mangiare. È proprio a tavola che ci si ritrova comunitariamente, intimamente uniti. Sedette con loro per l’ultima volta prima di scendere nella suprema tenebra e solitudine che è la morte.
Quella morte gli stava dinanzi; la vedeva dinanzi a sé; era la morte di lui che è la Vita. Pazienza per noi: noi, si può dire, viviamo insieme con la morte giorno per giorno, respiriamo la morte; ma lui è la Vita. Per noi, la morte è il peccato che prende corpo. È nostra. È l’atto più nostro. Gesù invece è la Vita.
Gesù accetta la morte per obbedire al Padre Celeste. Accetta la morte perché è il nostro destino ed egli vuol essere in tutto simile a noi. Accetta la morte per riscattarla e donarci la vita; perché è lui, l’unico che, nell’infinito vuoto dell’infinita solitudine della morte, può rimanere una sola cosa con Dio. Accetta tutto quello che l’accompagna: l’incomprensione dei suoi apostoli, il tradimento di Giuda, il ripudio da parte del suo popolo, la brutalità della politica giudaica e romana, il fallimento apparente della sua missione e di tutta la sua vita.
Afferra quel calice di amarezza senza fondo; vi penetra con lo sguardo nel suo abisso tenebroso e lo porta alle labbra; lo prende in anticipo.

La Cena, l’Ultima Cena del Signore, diviene presente, diviene presente in mezzo a noi e per noi nella celebrazione Eucaristica della Chiesa, cioè quando la Chiesa fa ciò che Gesù ha fatto e che le ha ordinato di fare. Diventa presente in mezzo a noi.
Presente con la sua persona fisica, corporea. 
È un anticipo della gloria di Dio che già adesso irrompe irresistibilmente nelle tenebre del nostro peccato.
Si dà, si offre a noi. Ci assume in sé mentre noi lo riceviamo.
Attende però da noi un’unica cosa: l’amen della nostra fede, la risposta della nostra fede, il sì del nostro cuore.

S. Margherita Maria Alacoque visse 19 anni in convento.
Appena entrata a mettersi dinanzi al SS. Sacramento per essere come una tela preparata dinanzi a un pittore. Un giorno lesse nel Cuore divino di Gesù queste parole:
“Il mio Amore regna nella sofferenza, trionfa nell’umiltà, gioisce nella carità”.
Nell’apparizione più celebre, la quarta, del giugno 1675, Gesù le disse:
“Ecco quel cuore che tanto ha amato gli uomini e che non ha risparmiato nulla fino a consumarsi per testimoniare il suo amore e in cambio non riceve che ingratitudine, disprezzo, irriverenze, sacrilegi e freddezze in questo Sacramento di amore. Perciò chiedo che il primo Venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore con la Comunione e una degna riparazione per le offese che riceve mentre è esposto sugli altari”.
Noi dovremmo essere come gigli vicino al Tabernacolo. I gigli sono bianchi, di un biancore fulgidissimo, nella luce di Gesù nell’Eucaristia. Il nostro cuore sogna di essere bianco dello stesso biancore di Maria, madre di Gesù.

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