VERSO IL FUTURO

VERSO IL FUTURO

di Don Carlo.

La speranza è un’inquietudine del cuore che permette agli uomini di camminare verso il futuro in un’attesa fiduciosamente prolungata; è la forza segreta che fa vibrare la nostra anima, che tiene alto il morale, che ci sospinge a tutto ciò che di grande sta fuori di noi.

 

Dice San Tommaso: «È l’estensione dell’anima verso qualche cosa di grande».
La fede opera uno strappo della nostra esistenza, perché ci apre ad una realtà più grande. Attraverso la fede la nostra esistenza scorre fuori, va verso il futuro, perché il presente è avvolto nell’oscurità. La coscienza umana si protende verso il futuro. L’uomo prova sempre un vuoto immenso nel suo cuore, vuoto che viene riempito dal futuro.
L’uomo è essenzialmente insoddisfatto della sua situazione raggiunta. Nessun uomo realmente «vive», perché non siamo ancora quello che sogniamo di essere; siamo solo in abbozzo. Abbiamo fame di un futuro più bello. Fame vuol dire insufficienza vissuta.
Abbiamo fame: cioè sogniamo ad occhi aperti, coscientemente; abbiamo desiderio, abbiamo anelito verso il futuro. Gli aneliti si rivolgono al futuro.
Noi diciamo «no» al passato, perché non ci soddisfa. Diciamo «sì» al futuro; e lo sogniamo sempre più grande.
Tutti i nostri sogni ci presentano una vita migliore. L’attesa del futuro che è in noi non va a dormire. L’uomo si mette a fantasticare sempre. Nel suo essere si è formato uno spazio vuoto; lì irrompono i sogni. Il desiderio di star meglio, di un qualcosa di migliore, di un infinitamente grande, di un amore sconfinato, non dorme mai in noi. Ogni mattina, come il sole, anche noi ci alziamo verso quello che non c’è ancora. Lo sogniamo di giorno e di notte.

L’uomo ha l’esigenza di uscire fuori di sé.
Da bambino si nutre di fiabe; vive in un mondo di fiabe. Ecco Cenerentola che abbandona la cucina; ecco la principessa addormentata nel bosco che si risveglia; ecco un palazzo di cristallo che scende dal cielo e diventa una dimora definitiva nelle fiabe, noi siamo tutti di stirpe regale. È il sogno dell’infinito.
Il fanciullo si aggrappa a tutto, per riempire quel vuoto esistenziale che è in lui e poi butta via tutto; è curioso sempre di tutto, vorrebbe trovarsi a vivere in un mondo più bello: gli animali, le cose, i francobolli, gli servono come la conchiglia: la tiene vicino all’orecchio per sentire lo scroscio del mare.
L’adolescente perché scappa da casa? Perché vuol vivere una vita migliore di quella che vive in famiglia. L’adulto non si rassegna alla vita che sta vivendo. È instabile; ha il desiderio di cambiare: vuol cambiare casa, vuol cambiare vestito, vuol cambiare paese, vuol cambiare attività, vuol cambiare tutto. Lo tormenta il desiderio di diventare qualche cosa di altro. Cerca evasioni dappertutto, persino nelle situazioni più scadenti, come nel brivido dei romanzi gialli, nei sogni di pochi soldi delle sale cinematografiche. La speranza di un futuro migliore è indistruttibilmente fondata nell’aspirazione umana alla felicità.

La si riscontra in tutte le attività umane.
Pittori e poeti sognano un futuro più bello.
La musica è l’aspirazione a qualche cosa di infinitamente grande. Mozart diceva: «La musica mi riscalda l’anima».
I tecnici sono sognatori del futuro.
In America sono sorti i «Pensatori del Futuro». Gli architetti sognano una dimora sempre più perfetta, «una patria prefabbricata». I conquistatori dello spazio, gli astronauti sognano l’avventura verso l’ignoto che li affascina. I medici sognano un corpo perfettamente sano. I propugnatori di giustizia sociale, da Platone a Marx, sognano un qualche cosa di nuovo in cui non esista più l’ingiustizia. I filosofi sono i sognatori più temerari della terra. Ricercano la saggezza, ricercano qualcosa che nessuno di noi realmente possiede. La speranza batte in tutti noi; la speranza di una liberazione definitiva dal potere del male; la speranza della libertà, della sicurezza; di un mondo perfetto; di un amore sconfinato.

 

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